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Cosa accade quando i messaggi pubblicati su Facebook violano l’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro? La legge, i comportamenti a rischio e un caso reale per capire meglio.
Con l’affermarsi dei social networks la giurisprudenza ha tentato di allargare i confini dell’obbligo di fedeltà (richiesto al dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro previsto dall’articolo 2105 del c.c.), al fine di ricomprendervi situazioni non contemplate in precedenza e offrire una maggior tutela al datore danneggiato dal proprio dipendente. Abbiamo chiesto un parere al Dott. Luigi Dinella dello Studio Legale Fioriglio Croari.
Negli ultimi anni sono stati sempre più frequenti casi di lavoratori dipendenti che, molte volte ignari delle conseguenze, hanno pubblicato sui propri social network (Facebook in primis) fotografie o “selfie”, spesso denigratori, scattati sul posto di lavoro, oppure frasi diffamatorie e screditanti nei confronti di datore di lavoro o colleghi.
È da tenere a mente che il mondo di Internet non è affatto privo di regole, e che i comportamenti posti in essere su di esso si ripercuotono inevitabilmente nella vita reale.
Nel mondo virtuale ci si sente sempre nella necessità di portare a conoscenza degli altri proprie immagini e proprie considerazioni, ma ciò può portare a dei riflessi nella vita personale e lavorativa. I social media, infatti, sono degli ambienti accessibili a una cerchia più o meno ampia di soggetti, dunque realizzare condotte di questo genere può comportare l’inflizione di sanzioni di vario tipo.
Ad esempio, in sede disciplinare, comportamenti simili hanno comportato in diversi casi, per il dipendente trasgressore, il licenziamento per giusta causa per violazione dell’obbligo di fedeltà previsto dall’articolo 2105 del c.c. In questo articolo andremo ad analizzare innanzitutto cosa s’intende per obbligo di fedeltà, per relazionarlo in seguito con il problema dei social network analizzando altresì un caso pratico per facilitarne la comprensione.
L’obbligo di fedeltà
L’articolo 2105 del codice civile impone esplicitamente al lavoratore di non realizzare determinate condotte: non trattare affari in concorrenza con il datore di lavoro, non divulgare notizie sull’organizzazione e sulle modalità di produzione dell’impresa, e di non utilizzarle per recare pregiudizio a quest’ultima (comportamento punito anche penalmente dall’art 622 c.p.).
In caso di violazione di queste prescrizioni, secondo quanto affermato dal successivo articolo dello stesso codice, è possibile incorrere in sanzioni di carattere disciplinare, ultima tra tutte il licenziamento per giusta causa (perché viene meno il particolare rapporto di fiducia che lega il dipendente al datore di lavoro).
Tuttavia non sono solo queste quattro ipotesi a poter portare alla violazione dell’articolo 2105 c.c., in quanto la giurisprudenza prevalente, per fornire una maggiore tutela al datore di lavoro, ne ha esteso il contenuto. Infatti l’obbligo di fedeltà, secondo la Suprema Corte, deve espandersi fino a ricomprendere i parametri della correttezza e buona fede previsti rispettivamente dagli articoli 1175 e 1375 del codice civile.
I due articoli in questione prescrivono principi di carattere estremamente ampio che possono essere facilmente adattabili al mutare del tempo e, nell’analisi specifica, della tecnologia: nel mondo virtuale si registra una forte propensione all’insulto e questi comportamenti, se rivolti nei confronti del datore o dell’ambiente di lavoro, non possono rimanere impuniti.
Il lavoratore dipendente sarà dunque tenuto non solo a rispettare il dettato dell’art 2105 c.c. ma, più in generale, ad astenersi dal porre in essere qualsiasi comportamento lesivo per l’impresa nella quale lavora, anche al di fuori dell’orario lavorativo. Le sanzioni disciplinari potranno scattare ogniqualvolta venga messo in dubbio il rapporto fiduciario tra datore e dipendente, o quando il comportamento di quest’ultimo possa fungere da modello diseducativo o disincentivante per gli altri dipendenti.
Quanto detto va ovviamente contemperato con il diritto di critica che ha il dipendente verso il datore di lavoro: è certamente vero che questo diritto non può essere eliminato, ma è altrettanto vero che devono essere rispettati dei limiti. È la stessa Corte di Cassazione ad indicare quando il diritto di critica viene oltrepassato costituendo giusta causa di licenziamento: la critica deve essere oggettivamente veritiera, non deve screditare il datore di lavoro e non deve essere idonea a provocare danni economici per quest’ultimo (superati tali limiti l’articolo 2105 può ritenersi violato).
Il caso
Per meglio comprendere la questione può essere utile analizzare un recente caso in cui si è arrivati ad un licenziamento del lavoratore per violazione dell’obbligo di fedeltà.
Nel caso in questione un dipendente aveva postato sul proprio profilo Facebook delle foto, seguite da frasi denigratorie verso l’impresa e il datore di lavoro, che erano state scattate, assieme a due colleghi, sul luogo di lavoro. Le foto, inoltre, erano state realizzate durante l’orario di lavoro, evidenziando un’interruzione della prestazione lavorativa e, dunque, la violazione dei principi di diligenza, buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto. A causa dei comportamenti elencati, il dipendente veniva licenziato per giusta causa per violazione dell’obbligo di fedeltà.
Il tribunale di Milano, successivamente, rigettava il ricorso proposto dal dipendente contro il licenziamento precisando come nonostante le foto non fossero state pubblicate sul sito dell’azienda (e non fosse presente il nome della stessa in esse), le pagine su cui erano pubblicate erano accessibili da soggetti che erano perfettamente in grado di comprendere a chi fossero rivolte le frasi denigratorie e dunque risultavano violati i principi fondamentali di buona fede e correttezza correlati all’articolo 2105.
Conclusioni
Il mondo virtuale dei social network, come si può desumere da questa breve analisi, appare sempre pieno di rischi legali per i soggetti che lo frequentano e bisogna porre particolare attenzione nell’utilizzo di questi strumenti.
Per quanto riguarda il mondo del lavoro, poiché molte violazioni avvengono a causa dell’inconsapevolezza dei dipendenti, sarebbe auspicabile che ogni datore di lavoro fornisse, all’interno dei codici di condotta, delle precise indicazioni sull’utilizzo di Internet e dei servizi che questo mondo offre, prescrivendo altresì limiti all’utilizzo dei social durante gli orari di lavoro e indicazioni per l’impiego della strumentazione telematica fornita dall’impresa.